Sarajevo, un paese, una città, la capitale della Bosnia Erzegovina che si estende nella valle della Milijacka nel sud-ovest del paese, e conta circa 320.000 abitanti. Sarajevo è una città multi-etnica, sono presenti tre etnie diversi: bosniaci, croati e serbi. Vanta inoltre quattro religioni, islamismo, cattolicesimo sia cattolico che ortodosso ed ebraismo. Tutte queste quattro religioni vivono in un clima di pace e tolleranza, per questo a Sarajevo è stato dato il soprannome di “Gerusalemme d’Europa”.
Questa città viene tuttora ricordata per l’assassinio all’erede al trono austriaco Francesco Ferdinando che scatenò la prima guerra mondiale. La Bosnia, ma in particolare Sarajevo, si videro al centro di una guerra civile tra etnie tra il 1992 e il 1995 in cui la capitale rimase sotto assedio dalle forze serbe per più di tre anni. Questo evento in particolare rende tutt’ora evidente la sua presenza, sia visiva con i segni lasciati dalla distruzione, sia conviviale perché sono ancora presenti persone che hanno vissuto quella guerra sia di una fazione che delle altre.
Data la sua storia e le sue condizioni economiche, Sarajevo non è una città in cui ti aspetteresti di andare, soprattutto per una gita di quinta superiore, ma non è stato così per le classi quinte dell’Istituto Salesiano San Marco che, invitate dalla Caritas di Venezia affiliata a quella di Sarajevo, dal 26 al 29 novembre hanno visitato la capitale della Bosnia.
Questo è il primo gruppo di giovani veneziani che ha risposto con entusiasmo alla provocazione delle Acli provinciali di Venezia che sta costruendo un progetto, in collaborazione con Caritas Italiana, Ambasciata Italiana in Bosnia Erzegovina e Comune di Venezia, per portare sempre più ragazzi a conoscere la realtà e la storia di Sarajevo, in un’ottica di educazione alla pace e di promozione del dialogo interreligioso.
Vi lascio ora alle parole di uno degli studenti, Yari Zabotto, di 5AItt: “Sarajevo è una città particolare, in cui riescono a completarsi due stili architettonici completamente diversi, quello ottomano e quello austriaco, in cui è possibile la convivenza pacifica e amichevole di varie culture e religioni. Girando per la città mi hanno colpito i profumi, dal caffè ai dolci, dal Ćevapčići, piatto tipico dei paesi ex jugoslavi, ai più comuni cibi globalizzati, che creavano quell’armonia e quel languorino che ti facevano vivere la giornata in modo positivo. Inoltre si potevano udire le preghiere dell’imam, dagli altoparlanti delle moschee, le campane delle chiese e i passi delle persone. Ci sono strade e automobili ma non rovinano l’atmosfera tranquilla della città. È stata un’esperienza positiva, sia per i rapporti interpersonali e intrapersonali, che per il fascino della città”.
Così invece commenta Francesca Bellemo, giornalista che ha accompagnato il gruppo insieme al presidente provinciale Acli, Paolo Grigolato, e che sta lavorando ad una pubblicazione per conto delle Acli di Venezia:
“Con i giovani a volte bisogna osare. Se gli educatori hanno il coraggio di superare quegli stereotipi che dipingono i giovani come svogliati e disinteressati a proposte di spessore, e osano, possono restare molto piacevolmente sorpresi. Ed è quello che è accaduto con una settantina di diciottenni dell’Istituto Salesiano San Marco che la scorsa settimana si sono avventurati insieme ai loro professori in un lungo viaggio che li ha condotti in Bosnia. Hanno attraversato i confini di ben 4 stati e vissuto per la prima volta nella loro vita l’esperienza delle lungaggini dei controlli alla dogana, percorso in pullman 800 km per raggiungere una destinazione che mai nessuna classe nel veneziano ha preso in considerazione come meta della loro gita scolastica: Sarajevo.
Era già arrivata la neve in questi giorni a Sarajevo, e i ragazzi hanno camminato ordinatamente per le vie della Bascarsija, il pittoresco quartiere ottomano nel cuore della città, ascoltando attentamente la guida che spiegava loro la centralità di questa capitale nella storia del 900.
Con attenzione i ragazzi si sono lasciati accompagnare all’interno dei quattro più importanti luoghi di culto della città, la cattedrale cattolica, la chiesa ortodossa, la moschea e la sinagoga, tutti e quattro a poche centinaia di metri di distanza l’una dall’altra.
Hanno preferito, pur non essendo obbligati a farlo, visitare il museo su Srebrenica, il massacro in tre giorni di oltre 8000 uomini musulmani tra i 12 e i 77 anni da parte delle truppe serbe, piuttosto che fare shopping nelle vie del centro. E si sono soffermati a compilare i questionari. E hanno posto domande”.
La preside dell’Itt, la prof.ssa Claudia Cellini, aveva così descritto l’entusiasmo con cui la scuola ha accolto questa proposta: “Siamo felici di poter offrire ai nostri ragazzi un’esperienza storica, culturale, ma soprattutto umana, così vicina a noi nel tempo e nello spazio. Ricordare la storia dell’uomo e scoprire le energie necessarie per ricostruire quanto l’incomprensione e l’odio tra i popoli possono provocare, è una delle forme più alte di educazione”.